È un film molto particolare, parla di mafia  ma quasi in modo leggero, giocoso. L’ingenuità e la schiettezza, tipica dei bambini, stridono di fronte alle stragi e agli

omicidi efferati da parte della mafia, vissuti dalla gente quasi con freddezza e distacco. 

Ci sono battute e scene che fanno ridere, ma anche in questo c’è un messaggio, qualcosa che l’autore del film vuole farci arrivare e cioè che la mafia è intrecciata alla vita di tutti i giorni, alla quotidianità, ha il potere di infiltrarsi nella vita delle persone vestendosi di “normalità”.

Da una parte notiamo le esperienze di tutti i giorni, come l’innamorarsi o l’andare a scuola, andare al bar, dall’altra vediamo le uccisioni compiute con cinismo ed efferatezza, messe in atto dal crudo mondo mafioso. Ogni personaggio, tra cui lo stesso Arturo, deve trovare un equilibrio per far convivere queste due vite così diverse.

 

Mi ha colpito all’inizio un paradosso grottesco: una ragazza è figlia di genitori divorziati e questa viene considerata una cosa sconveniente a gente che non si fa scrupolo a uccidere vite umane e che risolve il problema così: “ammazziamo il padre così sarà orfana e non più figlia di divorziati”.

 

Come pure: “La mafia è come i cani: basta non gli si dia fastidio”. Queste parole esprimono tutta la situazione di omertà che si è creata attorno a questo mondo mafioso, esprimono cosa voglia dire convivere con la mafia che riesce ad entrare, occulta ma tenace, nella vita di tutti i giorni.

«Convivere con la mafia» vuol dire essere bambini e non poter andare al bar dove compri le paste per la compagna di classe di cui sei innamorato, perché quel bar è diventato luogo di morte, poiché la mafia vi ha ucciso il capo della Squadra mobile di Palermo. 

 

Mi è piaciuta molto questa frase di Arturo  che ha acquisito una visione chiara della situazione, che gli ha fatto capire da che parte stare e

quale sia il suo ruolo diventando padre:

“Quando sono diventato padre ho capito che i genitori hanno due compiti

fondamentali: il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del

mondo; il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla.”

 

Mi è venuta in mente, guardando questo film, una frase di Gesù che troviamo in Luca cap. 4: “A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla.  Temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna”. 

Quindi temete chi procura la morte del cuore e dell’anima, temete ciò che uccide, come la mafia, la giustizia, la libertà, i diritti umani.

 

Permettetemi di ricordare –siamo in parrocchia- alcune figure di preti che hanno dato la vita per lottare contro la mafia e contro la camorra, per preservare i giovani dallo scivolare tra i tentacoli di questa piovra, che hanno alzato la loro voce laddove lo Stato taceva o era latitante o, peggio ancora, era in connivenza con la mafia.

 

Non possiamo non ricordare DON PINO PUGLISI, nominato parroco a Brancaccio nel 1990 dove fonda il centro “Padre Nostro”, che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. Don Dino  collabora con i laici per rivendicare i diritti civili della borgata, denunciando collusioni e affari sporchi e subendo minacce e intimidazioni fino a essere ucciso sotto casa, il giorno del suo compleanno, il 15 settembre 1993.

 

Ma come non ricordare anche DON GIUSEPPE DIANA della diocesi di Aversa, il suo impegno a fianco alla gente in aperta opposizione al clan camorrista casalese i cui uomini controllano non solo i traffici illeciti, ma infiltratisi negli enti locali, gestiscono parti rilevanti di economia, tanto da diventare “camorra imprenditrice”.

Il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, Giuseppe Diana viene assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si accinge a celebrare la messa. Un camorrista gli spara 5 colpi di pistola e don Peppe muore all'istante. 

 

Questi sono i martiri più recenti della mafia e della camorra che è sua parente stretta, ma ancora prima di loro:

durante la Prima guerra mondiale, il 16 febbraio del 1916, nella borgata palermitana di Ciaculli, l’alta mafia uccide DON GIORGIO GENNARO, prete onesto e coraggioso che aveva denunciato le infiltrazioni criminali nell’amministrazione delle rendite ecclesiastiche e dei fondi per la beneficenza;

nel 1919 DON COSTANTINO STELLA viene accoltellato sulla porta di casa a causa del suo impegno sociale volto a migliorare la condizione delle campagne e degli abitanti della sua zona e quindi una presenza scomoda per la mafia che voleva tenere sotto controllo la situazione;

nel 1921 è il turno di DON STEFANO CARONIA, assassinato per aver contrastato il capomafia Ciccio Serra. Sostenitore dell'azione delle cooperative popolari si impegnò nella battaglia contro i feudatari locali a favore della popolazione di Gibellina, in provincia di Trapani, domandando a Roma l'esproprio dei feudi circostanti, a favore della locale Cooperativa Agricola. Questo gli costò la vita.

 

Vorrei citare alcune frasi di don Pino Puglisi e un frammento della famosissima lettera “Per amore del mio popolo” di don Peppe Diana contro la camorra dei Casalesi.

 

Dice DON PUGLISI:

«È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell'uomo per soldi.

Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste.

Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole.

E le parole devono essere confermate dai fatti.

Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno, soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani.

Lo facciamo per poter dire: dato che non c'è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto...».

 

E DON DIANA scrive:

«Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.

Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.

Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.

- Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);

- Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);

- Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);

- Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5).

Coscienti che “il nostro aiuto é nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza».

 

Don Puglisi è stato beatificato il 25 maggio 2013 e anche per don Diana è in atto il processo di beatificazione.

Tutti questi sacerdoti che abbiamo ricordato, ma anche tanti martiri laici, che hanno pagato con la vita la loro lotta alla mafia, alla camorra, all’ingiustizia e alla violenza come Falcone, Borsellino, le loro scorte, le mogli e tanti altri hanno vissuto, suggellando col sangue, ciò che Gesù dice nel Discorso della montagna:

«Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli». (Mt 5, 10).

 

Concludo con le parole di un grande Santo del nostro tempo e il suo appello tuonante ai mafiosi nella valle dei Templi il 9 maggio 1993, quel discorso fatto a sorpresa, a braccio e che è passato alla storia come l’anatema di GIOVANNI PAOLO II contro la mafia:

«Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!

Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte!

Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via, verità e vita. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio!».

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