La pazza gioia

Un film di Paolo Virzì. Italia 2015

Durata 118 min.

Il film di Virzì vuole essere un inno alla vita, alla voglia di esserci nonostante tutto. Una storia di affetto e di amicizia a metà tra la realtà e l’invenzione così come i suoi due personaggi femminili, 

capaci di commuovere e lasciare un messaggio fondamentalmente positivo di speranza e di riscatto.

Trama

Beatrice  Morandini  Valdirana  ha  tutti  i  tratti  della  mitomane  dalla  loquela 

inarrestabile.  Donatella  Morelli  è  una  giovane  madre  tatuata  e psicologicamente  fragile  a  cui  è  stato  tolto  il  figlio  per  darlo  in  adozione. 

Sono entrambe pazienti della Villa Biondi, un istituto terapeutico per donne 

che sono state oggetto di sentenza da parte di un tribunale e che debbono 

sottostare  a  una  terapia  di  recupero.  È  qui  che  si  incontrano  e  fanno  amicizia  nonostante l'estrema  diversità  die  loro  caratteri.  Fino  a  quando  un  giorno,  approfittando  di  una  falla nell'organizzazione, decidono di prendersi una vacanza e di darsi alla pazza gioia.

Scheda “My Movies”

Paolo  Virzì,  con  la  collaborazione  di  Francesca  Archibugi  alla  scrittura,  torna e  nell'amata Toscana  che  gli  consente  di  fondere,  come  solo  lui  sa  fare,  ironia,  buonumore  e  dramma muovendosi  tra  le  diverse  temperature  emotive  con  una  sensibilità  che  si  fa,  film  dopo  film, sempre più acuta e partecipe delle sorti dei personaggi che porta sullo schermo. Si sono già 

scritte  nel  passato  pagine  e  riflessioni  su  un  Virzì  erede  della  commedia  italiana  degli  Anni d'Oro  ma  quello  che  si  può  aggiungere  ora  è  che  al  suo  personale  capitale  di  autore  si  è aggiunta una capacità di sguardo sul mondo femminile che nel cinema italiano diretto da uomini non è per nulla usuale.

Sarà forse perché sa scegliere le sue interpreti (Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti sono  entrambe  straordinarie,  ognuna  a  suo  modo,  nello  scavare  in  personaggi  non  facili  da rendere tenendo la retorica a dovuta distanza). Sarà perché nel film si sente la verità iniettata (questo è il termine giusto visto che di medicinali si tratta spesso) grazie a una lunga ricerca sul campo su un disagio sociale che si traduce in un disagio psichico. Sarà anche perché si avverte 

l'attenzione partecipata ad ogni singolo dettaglio in un film in cui si capisce che anche l'ultima comparsa si è sentita parte di un progetto condiviso. Un progetto che vuole porre in evidenza la condizione di questo particolare tipo di donne condannate da una vita in cui hanno sbagliato trovandosi poi però dinanzi a terapeuti ed assistenti sociali che ogni giorno gli sono accanto e 

combattono con le loro patologie ma anche con visioni banalmente punitive che nulla hanno a che vedere con il recupero sociale. Riuscire a dire tutto ciò (e anche molto di più) in un   on the road in cui si ride, si sorride e ci si commuove non era impresa facile. A Paolo Virzì è riuscita da maestro.

Tratto da “Mymovies.it”

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